In effetti comincio quasi a sentirmi un'estranea sul mio blog... per colpa mia chiaramente che scrivo una volta l'anno! Fortuna che la mia Lò - Mary - lo tiene vivo grazie alla sua follia e gode di ottima salute!

La verità è che in effetti non sto passando un ottimo momento, ma a differenza sua che svaga la mente proprio qui scrivendo tutto ciò che le passa per la testa, io mi chiudo a riccio. E qual'è la prima cosa che evita di fare un aspirante giornalista (sottopagata) quando ha un periodo di merda??? Ma è chiaro, evita di scrivere! E che ce vò, basta tenersi tutto lì dentro e fare finta che stai bene! Mo va a finì che non ci riesco io, proprio io che sono sempre stata bravissima a spicciarmi tutto da sola, mo va a finire che proprio io che sono sempre stata bravissima a spicciarmi tutto da sola ho bisogno di scrivere per sfogarmi... In effetti si!
E allora torno a fare questa apparizione sul nostro bloggetto che tanto mi piace, perchè l'abbiamo creato proprio a nostra immagine e somiglianza, coi fiorellini, l'erbetta, le coccinelle, le farfalline, il posto dove ci piacerebbe rifugiarci non solo quando le cose ci vanno storte, ma tutti i giorni, 5 minuti tutti i giorni questo è il nostro rifugio, che sia per scrivere o per leggere.
In effetti non è che abbia precisamente qualcosa da scrivere, o meglio, ne avrei, non sarei qui a girarci intorno altrimenti, ma non credo che lo scriverò...quindi... di che vogliamo parlare????
Ah, si, ce l'ho!! Parliamo dell'ultimo libro che ho letto, "L'isola sotto il mare" si Isabel Allende, è un romanzo ambientato nella fine del '700, tutto ruota attorno alla figura di Tetè, una giovane schiava nera che passerà la sua vita al servizio del proprietario di una piantagione. Il romanzo diventa diverso dal momento in cui si mescolano le passioni, non solo amorose ma anche di rapporti tra madre e figli, storie di dignità perdute o mantenute trattenendone tra i denti fino all'ultimo briciolo, storie di magia, di riti voodoo (che non sono le bambolette con gli spilli), di esperienze vissute in giro per il mondo, dell'invidia delle donne, della cattiveria degli uomini, dell'ignoranza che non è sinonimo di mancanza di cultura, anzi! Il libro si apre con un' introduzione di Tetè (Zaritè Sedella).


"Nei miei quarant'anni io, Zaritè Sedella, ho avuto miglior fortuna di altre schiave. Vivrò a lungo e la mia vecchiaia sarà gioiosa, perchè la mia stella - la mia z'étoile - brilla anche quando la notte è nuvolosa. Conosco il piacere di stare con l'uomo scelto dal mio cuore quando le sue grandi mani mi risvegliano la pelle. Ho avuto quattro figli e un nipote e quelli che sono vivi, sono liberi. Il mio primo ricordo della felicità, quando ero una mocciosa tutta ossa e dai capelli arruffati, è muovermi al ritmo dei tamburi, e questa è anche la mia più recente felicità, perchè ieri sera sono stata nella piazza del Congo a ballare, senza pensieri nella testa, e oggi il mio corpo è caldo e stanco. La musica è un vento che si trascina via gli anni, i ricordi e la paura, quell'animale acquattato che mi porto dentro. Con i tamburi scompare la Zaritè di tutti i giorni e torno a essere la bambina che danzava quando a malapena sapevo camminare. pesto per terra la pianta dei piedi e la vita mi sale lungo le gambe, percorre lo scheletro, si impossessa di me, mi libera dall'inquietudinee mi addolcisce la memoria. Il mondo rabbrividisce. Il ritmo nasce nell'isola sotto il mare, scuote la terra, mi attraversa come un lampo e se ne va in cielo portandosi via le mie pene affinchè Papa Bondye le mastichi, le ingoi per lasciarmi pulita e appagata. I tamburi vincono la paura. I tamburi sono l'eredità di mia madre, la forza della Guinea che è nel mio sangue. Nulla allora può sopraffarmi, divento devastante come Erzuli, loa dell'amore, e più veloce della frusta. Tintinnano le conchiglie alle mie caviglie e ai polsi, domandano le zucche, rispondono i tamburi djembe con la loro voce di bosco e i timpani con la loro voce di metallo, invitano i djun djun che sanno parlare e rimbomba il grande maman quando lo colpiscono per chiamare i loa. I tamburi sono sacri, tramite loro parlano i loa.


Nella casa in cui sono cresciuta nei primi anni, i tamburi rimanevano zitti nella stanza che condividevo con Honoré, anche lui schiavo, ma spesso uscivano a passeggio. Madame Delphine, la mia padrona di allora, non voleva sentire i rumori da neri, solo i gemiti malinconici del suo clavicordo. Il lunedì e il martedì dava lezioni a ragazze di colore e il resto della settimana insegnava nelle dmore dei grand blancs, dove le signorine disponevano dei loro strumenti dato che suonavano anche le mulatte. Imparai a pulire i tasti con il succo di limone, ma non potevo fare musica perchè Madame ci proibiva di avvicinarci al suo clavicordo. Né ne avevamo bisogno. Honoré poteva far sgorgare la musica da una pentola, qualsiasi cosa nelle sue mani aveva tempo, melodia, ritmo e voce; i suoni erano nel suo corpo, li aveva portati dal Dahomey. Il mio giocattolo era una zucca vuota che facevamo suonare; in seguito mi insegnò ad accarezzare con delicatezza i suoi tamburi. E questo fin dall'inizio, da quando ancora mi doveva tenere in braccio e mi portava ai balli e ai riti vudù, in cui lui scandiva il ritmo con il tamburo principale affinchè gli altri lo seguissero. Così ricordo. Honoré sembrava molto vecchio, benchè a quel tempo non avesse più anni di quanti ne ho io ora, perchè gli si erano raffreddate le ossa. Beveva tafia per sopportare il dolore a ogni movimento, ma più che quel liquore aspro, per lui la medicina migliore era la musica. Al suono dei tamburi, i suoi gemiti si trasormavano in risate. Honoré a malapena riusciva a pelare le patate per il pranzo della padrona con le sue mani deformi, ma quando suonava il tamburo era instancabile e se si trattava di ballare, nessuno alzava le ginocchia più in alto, né scuoteva la testa con più forza, né dimenava il culo con maggior soddisfazione. Quando non sapevo ancora camminare, mi faceva danzare da seduta, e non appena fui in grado di reggermi sulle gambe, mi invitava a perdermi nella musica come in un sogno. " Balla, balla Zaritè, perchè lo schiavo che balla è libero... finchè balla" mi diceva. E io ho sempre ballato.




(foto di Hugo Benatzik)



Sere