Tamburi, piedi scalzi, terra rossa, urla di gioia, preghiere, spiriti, alberi sacri, tamburi, ancora tamburi, sempre tamburi. La notte, sempre tamburi, vado avanti così da mesi, mi sveglio stanca, sudata, con la schiena a pezzi e i piedi dolenti. Sto impazzendo, devo dirlo a qualcuno, ma a chi? Vado dallo psicologo e gli dico “Salve, io da mesi la notte vado in Africa a fare dei riti di cui non conosco la natura e poi la mattina mi sveglio nel mio letto con i piedi sanguinanti, secondo lei che cos’ho?” No, non mi sembra una grande idea. Questo succede ad isolarsi, complimenti Ilaria, sei proprio una cretina, passi una vita dietro una scrivania, china sui libri, mani di inchiostro e testa di carta, che ti aspettavi? Ti sei esaurita, era scontato, ovvio, anzi, ci hai messo anche troppo tempo. Che scegli di fare adesso? Dentro quale libro vuoi rifugiarti? Quale personaggio inesistente vuoi scegliere di essere? Devi spegnere questa cavolo di testa almeno una volta nella tua vita ed imparare ad agire, scrivere le azioni non è come farle, scrivere di amare non è come fare l’amore. Sogni l’Africa? Vai in Africa, datti una spiegazione, vivi la tua vita, esci dal guscio, scrivi un libro ispirato da un’esperienza realmente vissuta.
Tamburi, piedi scalzi, terra rossa, urla di gioia, preghiere, spiriti, alberi sacri, tamburi, ancora tamburi, sempre tamburi. Basta, parto. Lo fanno tutti, posso farlo anch’io, le operazioni sono semplici, banca – prenotazione biglietto – valigie – aeroporto, lo fanno tutti, posso farlo anch’io. Aspetta, ragiona, cosa dici a tua madre, non puoi dirle che vai in Africa, le prenderebbe un colpo, esci dal quartiere solo per fare la spesa figuriamoci come reagirebbe alla notizia che la figlia sfigata, che inciampa quotidianamente nei tre gradini davanti casa decide di andare in Africa… Ok, è facile, ho un convegno di una settimana su nuove tecniche di scrittura a Milano, si, può andare, parto.


Tamburi, piedi scalzi, terra rossa, urla di gioia, preghiere, spiriti, alberi sacri, tamburi, ancora tamburi, sempre tamburi. Basta, mi alzo, in questa cazzo di capanna si muore, ma come mi è venuto in mente?! Cosa sono questi rumori? Tamburi?


Mi lascio portare, si sono tamburi, mi ritrovo sotto un albero gigantesco, alla luce della luna sembra brillare, ci sono danzatori tutto intorno, hanno gli occhi chiusi, sembrano in trance, sotto l’albero c’è il più anziano di tutti, lui non balla, sussurra strane parole soffiando su un miscuglio di foglie e terra in una ciotola sulle sue gambe. Si ferma, sorride senza aprire gli occhi, poi mi guarda, mi fa cenno di avvicinarmi, lo seguo come rapita, non so cosa mi sta accadendo, le mie gambe vanno da sole, mi offre la ciotola, la porto al naso…


Tamburi, piedi scalzi, terra rossa, urla di gioia, preghiere, spiriti, alberi sacri, tamburi, ancora tamburi, sempre tamburi. Non è un sogno, sono io che ballo, sono io che suono, sono i miei piedi che sanguinano sulla terra rossa, è la mia carne che si piega al potere dell’albero sacro, sono le mie labbra che pronunciano parole diventate familiari. La penna non la ricordo, la scrivania non mi appartiene, io sono albero, sono terra, sono il fiume dove pesco, la pioggia che mi bagna, sono gli spiriti che mi proteggono, le foglie che mi curano, io sono Africa, io sono a casa.

Sere